Il termine stretching.
Prima di parlarti dello stretching vero e proprio voglio partire dal significa letterale del termine, che significa “allungamento” o “stiramento”.
- Cosa è lo stretching?
- A cosa serve?
- E’ davvero utile?
- Chi dovrebbe fare stretching?
- Quando sarebbe meglio fare stretching?
1. Cos’è lo stretching?
Lo Stretching è all’unanimità definito come una forma di esercizio fisico “in allungamento” che permette di migliorare la flessibilità muscolare e di preservare la mobilità articolare. Lo stretching non coinvolge solo la parte mio-fasciale, ma anche la respirazione, il rilassamento e la percezione del proprio corpo. Attraverso lo stretching è possibile stimolare la produzione di liquido sinoviale. Quel liquido che “lubrifica” le articolazioni e ne contrasta l’usura, permettendo una maggior escursione dei capi articolari.
Quando si parla di stretching non si può non citare uno degli autori più importanti e conosciuti, Bob Anderson. Autore del libro “STRETCHING“, divenuto un must per allenatori, atleti ed appassionati la cui prima edizione risale al 1982.
Quando eseguito correttamente, lo stretching ci fa sentire bene. Non dovete forzare oltre i vostri limiti o cercare di spingervi ogni giorno più oltre. Qui non si tratta di una gara con voi stessi per vedere quanto riuscite ad allungarvi. Lo stretching dovrebbe adattarsi alle esigenze ed alle condizioni fisiche di ciascuno, in base alla struttura muscolare, alla flessibilità e ai diversi livelli di tensione. (Bob Anderson)
Per dovere di cronaca, esistono anche metodiche di stretching mentale che però non analizzerò in questo articolo.
2. A cosa serve lo stretching?
Prima di rispondere a questa domanda devo farti una premessa: negli anni, grazie agli studi scientifici si è compreso sempre di più sugli effetti dello stretching, ma ancora oggi puoi trovare alcune opinioni contrastanti.
Di seguito ti elenco alcuni dei possibili effetti dello stretching:
- Secondo alcuni autori con una pratica assidua e regolare di stretching, il punto critico al quale si innescherebbe il riflesso da stiramento, potrebbe essere “resettato” ad un livello superiore. Questo consentirebbe al muscolo di rimanere rilassato per livelli di allungamento superiori a quelli precedenti.
- La pratica regolare di stretching potrebbe favorire l’aumento del numero dei sarcomeri (l’unità strutturale e funzionale della miofibrilla, la più piccola unità del muscolo in grado di contrarsi) in serie che compongono le fibre muscolari. Questi nuovi sarcomeri si aggiungerebbero alle estremità delle miofibrille stesse e sarebbero i responsabili del possibile aumento della lunghezza del muscolo sottoposto ad un programma di stretching reiterato nel tempo.
- Lo stretching potrebbe indurre un cambiamento semi-permanente della lunghezza delle fasce che avvolgono il muscolo (epimisio, endomisio e perimisio) oltre che di tipi di tessuto, come il tendine, i legamenti ed il tessuto cicatriziale.
L’aumento del Range Of Motion.
- Attraverso lo stretching è possibile aumentare il range di movimento (R.O.M.) passivo e l’estensibilità dei gruppi muscolari allenati. Secondo alcuni autori però, l’incremento dell’estensibilità muscolare, sarebbe da attribuirsi ad un aumento della tolleranza allo stretching stesso.
- Alcune ricerche sembrerebbero dimostrare che le cellule muscolari potrebbero modulare sia la stiffness che il proprio limite elastico, grazie all’espressione di una specifica isoforma di titina (oconnectina, è una proteina codificata negli esseri umani dal gene TTN). Grazie a questo meccanismo adattivo, il muscolo tenderebbe ad iniziare la tensione ad una lunghezza sarcomerale maggiore, raggiungendo così il proprio limite elastico ad una lunghezza del sarcomero maggiore, sviluppando quindi una minor tensione. Questo tipo di controllo funzionale potrebbe effettivamente essere influenzato dall’allenamento basato sullo stretching.
- Altri Autori avanzano l’ipotesi che lo stretching possa stimolare la produzione e la ritenzione di glicosaminoglicani , acido ialuronico ed acqua. Questo permetterebbe una sorta di “lubrificazione” delle fibre del tessuto connettivo.
- Attraverso degli studi radiografici infine, è stato dimostrato che l’allenamento specifico della flessibilità, in particolari categorie di atleti come i danzatori e i ginnasti, possa indurre una modificazione a livello delle strutture articolari.
Per questi motivi, quando si parla di stretching, a mio avviso è d’obbligo parlare anche di flessibilità. Il termine invece che a mio avviso è scorretto utilizzare è elasticità, in quanto il suo vero significato in fisiologia è tutt’altro.
Meccanicamente l’elasticità è definibile come la proprietà di un corpo, che subisce una deformazione causata da una forza esterna, di riprendere, almeno parzialmente, forma e volume iniziali. In ambito fisiologico l’elasticità muscolo-tendinea è la capacità dell’unità muscolo-tendinea (UMT) di elongarsi nel corso della fase eccentrica del movimento (ovvero possedere una sufficiente compliance) ed immediatamente dopo, grazie ad un adeguata rigidità (stiffness), poter effettuare una repentina fase di contrazione concentrica. In tal modo viene restituita, sotto forma di lavoro meccanico, l’energia elastica potenziale accumulata nel corso della fase eccentrica. L’elasticità muscolare è quindi il risultato di un giusto compendio tra la stiffness e la compliance del complesso muscolo tendineo, ed assume particolare importanza in tutti i movimenti che prevedano una fase eccentrica immediatamente seguita da una contrazione di tipo concentrico, ovvero il ciclo di allungamento-accorciamento del muscolo.
Per flessibilità si intende la proprietà o la caratteristica di essere flessibile, facilità a piegarsi, in senso figurato, a variare, a modificarsi, ad adattarsi a situazioni o condizioni diverse. Se analizziamo i due termini possiamo concludere che lo stretching è una metodica che permette di renderci più flessibili ed adattabili a situazioni diverse.
Lo stretching, se fatto bene e con costanza, aiuto a rilassare il corpo, alleggerendo lo stress emotivo e l’affaticamento nervoso.
(Esistono anche metodiche di stretching mentale che non analizzerò in questo articolo).
3. E’ davvero utile?
ASSOLUTAMENTE SI’! Possiamo inoltre aggiungere che la capacità di adattamento che può indurre lo stretching non è solo in senso figurato, ma in senso pratico. Se una struttura ha una maggiore “capacità di piegarsi”, senza superare la sua costante elastica, potrà adattarsi meglio a situazioni impreviste come ad esempio sopportare e reagire meglio ad un trauma distorsivo (di grado leggero). Inoltre, un muscolo, o più correttamente un gruppo muscolare, con maggiore flessibilità, sarà meno vulnerabile sui traumi distrattivi rispetto ad un gruppo muscolare contratto e/o retratto.
Da qualche anno la medicina sportiva ha riconosciuto all’allungamento muscolare, un’efficacia indiscutibile, sia nella prevenzione delle malattie osteo-articolari, nella prevenzione degli infortuni, e anche nella terapia riabilitativa.
In atleti sottoposti quotidianamente a sessioni di stretching, l’incidenza dei traumi diminuisce ma soprattutto migliora l’economia del gesto. La capacità di contrarsi, propria dei muscoli, è direttamente proporzionale alla loro capacità di allungarsi, in altre parole più un muscolo è capace d’allungarsi più è capace di contrarsi, più è capace di contrarsi, più è capace di sviluppare forza.
Stretching globale e analitico.
Lo stretching può essere globale, con le cosiddette “tecniche posturali” (Mézières, Campo Chiuso, metodo Alexander, Pancafit® Metodo Raggi, etc.). I focus di queste metodiche sono le catene muscolari.
Lo stretching può essere anche analitico, e di questo approccio fanno parte varie metodiche di allungamento:
- stretching statico/isometrico;
- stretching balistico;
- PNF;
- stretching dinamico;
- CR (contrazione-rilassamento);
- stretching passivo;
- CRAC (contrazione-rilassamento-contrazione);
- HOLD-RELAX-SWING TECHNIQUE.
Nel mio articolo “Stretching: metodiche a confronto”, puoi trovare tutte spiegazioni delle varie metodologie.
4. Chi dovrebbe fare stretching?
La risposta a questa domanda, se avete letto le spiegazioni precedenti, dovrebbe essere davvero scontata! Ovviamente TUTTI! O meglio, tutti coloro che tengono alla propria salute, sia che siate atleti professionisti, sportivi appassionati, o persone comuni che vogliono “semplicemente” stare bene. Come per tutte le cose, anche i risultati ed i benefici dello stretching saranno proporzionali al vostro stile di vita ed alla vostra applicazione. Se siete persone sedentarie, che non praticano attività fisica e fate 5 minuti di stretching alla settimana, non potrete di certo aspettarvi dei grandi risultati!
5. Quando sarebbe meglio fare stretching?
Questa è la classica domanda che mi viene spesso rivolta da chi fa sport, sia a livello professionistico che non. Anche la persona comune che si allena in palestra vorrebbe sapere quando fare stretching: meglio prima o dopo l’allenamento?
Alcune revisioni di studi scientifici forniscono delle indicazioni interessanti.
Secondo la revisione sistematica con meta-analisi di Simic e colleghi del 2013, lo stretching statico, eseguito come tecnica di riscaldamento, andrebbe generalmente evitato. Da alcuni stato evidenziato influenzare negativamente la prestazione in termini di forza (-5.4%), potenza (-1.9%) ed esplosività (-2%), indipendentemente dal sesso, dall’età, e dal livello di preparazione atletica.
Secondo una revisione della letteratura di Behm e colleghi (2011), lo stretching statico ha un effetto deleterio sulla prestazione se eseguito prima, ad esempio nel riscaldamento. Questa tipologia di stretching andrebbe ad indurre delle modifiche nell’adattamento muscolare che possono influenzare la funzione tipica del muscolo, manifestando le problematiche maggiori nella diminuzione della forza o della massima potenza muscolare.
Il ruolo del SN.
Questi effetti, sarebbero anche da imputare ad un’azione sul Sistema Nervoso, ovvero con un adattamento delle terminazioni nervose. Sempre in ambito sportivo, una systematic review Cochrane, del 2011, ha evidenziato come lo stretching non abbia alcun effetto clinicamente rilevante, o effetti molto limitati, sul dolore muscolare che insorge nella settimana in cui si pratica sport. Al contrario delle sensazioni individuali, per chi ha praticato o pratica sport.
Potrebbe quindi essere un effetto molto soggettivo, la riduzione del dolore muscolare se si esegue dello stretching dopo l’allenamento. Considerando il tessuto connettivo, essendo la fascia superficiale riccamente innervata, e con una presenza importante di nocicettori, un adattamento di queste terminazioni nervose, in seguito ad un allungamento a fine allenamento, potrebbe giustificare tale sensazione.
La Fascia.
Lo stretching NON può essere solamente riferito alle fibre muscolari ma anche e soprattutto, al tessuto connettivo (tendini, fasce ecc.) presente nella struttura contrattile. Il tessuto connettivo è estensibile (può essere allungato). Se non viene regolarmente sollecitato con l’esercizio fisico, in breve tempo perde questa caratteristica essenziale.
La Fascia è un insieme di tessuti collageni fibrosi che sono parte di un ampio sistema di trasmissione di forza tensionale. (Schleip et al. 2012b)
Una struttura funzionale, attiva e dinamica, che partecipa al movimento.
Langevin et al. (2005) hanno riportato come un allungamento sostenuto e di lieve intensità, possa produrre un significativo aumento tempo-dipendente, del perimetro del corpo cellulare e dell’area si sezione trasversa dei fibroblasti.
Fourie (2009), mette in evidenza come ricerche svolte su uomini e animali, indichino che il grado ideale di stretch necessario per allungare il tessuto connettivo lasso non dovrebbe superare il 20% dell’elasticità disponibile.
La proprietà tissotropica dei collidi implica che quanto più rapidamente la forza (carico) è applicata, tanto maggiore sarà la rigidità con cui il tessuto risponderà. Se la forza è applicata progressivamente, l’energia è assorbita ed immagazzinata nei tessuti con potenziali implicazioni terapeutiche.
(Binkley&Peat 1986)
Ogni muscolo è avvolto da uno strato di tessuto connettivo (epimisio), che lo collega all’osso tramite i tendini.
Quando il tessuto connettivo è allungato, i fibroblasti che contribuiscono a produrre e mantenere la matrice del tessuto connettivo si allargano e si appiattiscono. Noi suggeriamo che i complessi di adesione focale posti sulla superficie dei fibroblasti, percepiscano l’allungamento ed inizino la segnalazione mediata dalla proteina Rho. In seguito, la cellula rilassa ATP nello spazio extra cellulare, favorendo un cambiamento della forma cellulare, probabilmente coinvolgendo cataboliti con effetto analgesico. Inoltre, il pathway della proteina Rho induce il rimodernamento dei complessi di adesione focale, i quali mediano dove e come la cellula si inserisca sulla Matrice Extra Cellulare, indicendo di conseguenza un rilassamento del tessuto connettivo. (Langevin 2013)
Quindi, lo stretching, se eseguito correttamente e con costanza nel tempo, ha dei notevoli benefici sul miglioramento della mobilità articolare.
Lo stretching come prevenzione dagli infortuni.
Il meccanismo maggiormente correlato al possibile danneggiamento della fibra muscolare, ad oggi, risulta essere la contrazione eccentrica. Il motivo è riscontrabile durante una situazione di contrazione eccentrica, ed è con ogni probabilità imputabile alla maggior produzione di forza registrabile nel corso di quest’ultima, rispetto a quanto non avvenga nella contrazione muscolare concentrica o isometrica. Durante una contrazione eccentrica, effettuata alla velocità di 90° * s-1, la forza espressa dal distretto muscolare risulta essere di ben tre volte maggiore di quella espressa, alla stessa velocità, durante una contrazione concentrica. Inoltre, durante una contrazione eccentrica, risulta maggiore anche la forza prodotta dagli elementi passivi del tessuto connettivo del muscolo sottoposto ad allungamento.
Il fenomeno meccanico.
E’ doveroso sottolineare come anche il fenomeno puramente meccanico dell’elongazione possa giocare un ruolo importante nell’insorgenza dell’evento traumatico, visto che quest’ultimo può verificarsi, sia in un muscolo che si presenti attivo durante la fase di stiramento, come in un distretto muscolare che sia passivo durante la fase di elongazione. Durante la contrazione eccentrica il muscolo è sottoposto ad un fenomeno di “over-stretching” che, in quanto tale, può determinare l’insorgenza di lesioni a livello della giunzione muscolo-tendinea, oppure a livello di una zona muscolare resa maggiormente fragile da un deficit di vascolarizzazione.
Quali muscoli sono più soggetti a lesioni?
Tendenzialmente sono i muscoli bi-articolari quelli maggiormente esposti ad insulti traumatici, proprio per il fatto di dover controllare, attraverso la contrazione eccentrica, il range articolare di due o più articolazioni. Anche la diversa tipologia delle fibre muscolari presenta una differente incidenza di evento traumatico.
Le fibre di tipo FT (fast), sono infatti maggiormente esposte a danni strutturali rispetto alle ST (slow), probabilmente a causa della loro maggior capacità contrattile, che si traduce in un’accresciuta produzione di forza e di velocità di contrazione, rispetto alle fibre di tipo ST. Generalmente i muscoli che presentano un’alta percentuale di FT, sono più superficiali e normalmente interessano due o più articolazioni, entrambi fattori predisponenti al danno strutturale.
L’insulto traumatico è prevalentemente localizzato a livello della giunzione mio-tendinea.
Questo perchè in questa zona, come del resto nella porzione finale della fibra muscolare, si verifica il maggior stress meccanico. Ad oggi numerosi numerosi, a seguito di protocolli di studio specifici effettuati su campionature cospicue, non hanno rilevato alcun beneficio, derivante da una pratica assidua e regolare dello stretching , nei riguardi della prevenzione dei danni all’UMT (unità muscolo tendine).
L’effetto stretch-tolerance.
Questo potrebbero essere spiegato dal fatto che lo stretching provoca una sorta di effetto antalgico, che va sotto il nome di “stretch-tolerance”, nei confronti dell’allungamento stesso. La pratica dello stretching indurrebbe quindi una diminuzione della sensazione dolorosa indotta dall’allungamento, data da un aumento della soglia dei nocirecettori, permettendo in tal modo all’atleta di sopportare allungamenti muscolari di maggiore entità, situazione che potrebbe anche paradossalmente aumentare il rischio di traumatismi a livello muscolare.
A mio avviso è pressoché impossibile scomporre la prevenzione, in quanto non è solo una cosa o solo un’altra. Sicuramente un adeguato programma di stretching può rappresentare un fattore importante per la prevenzione di diversi dolori (mal di schiena, dolori al collo, ecc.) e degli infortuni. Lo stretching dovrebbe essere visto come uno dei mezzi utilizzabili nell’ambito di un piano razionale rivolto alla prevenzione degli incidenti muscolari.
L’importanza della respirazione.
Ritengo infine molto importante ricordare l’importanza della respirazione. Quando si eseguono esercizi di allungamento, dovrebbe essere tranquilla e rilassata, per poter aiutare l’intero organismo a rilassarsi ed “allungarsi”. Una buona ossigenazione attenua lo stato di tensione fino a portarlo ad uno stato di equilibrio delle sue funzioni fisiologiche e di conseguenza anche del tono muscolare.
La posizione dovrebbe permettere una corretta respirazione.
Se la posizione mantiene il muscolo in un’eccessiva tensione è probabile che la respirazione diventi affannosa o difficoltosa. In questo caso è importante diminuire la tensione finché la respirazione non diventerà naturale. La concentrazione dovrebbe quindi essere sia sulla respirazione, che sull’esercizio che si sta facendo.
Può essere indicato inserire degli esercizi specifici sulla respirazione, alla fine di un allenamento. Un’alternativa ancora migliore sarebbe dedicare almeno 1 ora alla settimana ad un’attività come lo yoga, il pilates, il taijiquan, il qi gong. Durante queste attività vengono svolti diversi esercizi sulla respirazione e sul rilassamento, oltre che sulla postura.